Giorgio Vasari - Opera Omnia >> Le vite de più eccellenti architetti, pittori et scultori |
ilvasari testo integrale, brano completo, citazione delle fonti, commedie opere storiche opere letterarie in prosa e in versi, operaomnia # Quando un solo è cagione di illustrare una virtú usatasi rozzamente in una patria già per molti anni e, rendendole il vero splendore, la fa conoscere per lodata et ispiritosa, pare che tutti quegli che di sapere e di virtú operano, si voltino a lodarlo, a favorirlo, a inalzarlo e ad onorarlo; di maniera che molto si sente caricare il peso delle fatiche quel tale in cercare d'inalzarsi in quella virtú o scienza. Atteso che diventano obbligati a gli onori tutti coloro a' quali per le virtú e per le fatiche son fatti commodi e favori nell'arte ingegnose che anno apprese, come fu fatto in Arezzo a Spinello di Luca Spinelli pittore; il quale, dopo la morte di Giotto e Taddeo Gaddi, svegliato dal bello ingegno che aveva, imparò la bella arte della pittura, essendo già dimenticata in quella città la maniera de' Greci vecchi, per non avere atteso aretino alcuno, da Margheritone insino a Spinello a quello esercizio, ancora che Giotto e Taddeo et Iacopo di Casentino vi avessino lavorato molte cose. Spinello adunque, essendo chiamato dal cielo a suscitare nella patria sua una arte tanto ingegnosa e bella, addomesticatosi con Iacopo di Casentino, imparò da lui il disegno et il modo del lavorare, e con buona pratica e grazia fece poi infinite cose. Perché invaghitosi del mestiero, non restò mai insino a la morte di esercitarvisi prontamente. Fu condotto in Fiorenza e lavorò con Iacopo di Casentino, la domestichezza del quale aveva preso in Arezzo, mentre vi lavorava nella sua | giovanezza; et acquistò grandemente fama in quella città per molte opere che e' vi fece. Infra l'altre lavorò in fresco la cappella maggiore di Santa Maria Maggiore e la sagrestia di San Miniato in Monte fuor di Fiorenza, la quale fu cagione che fra' Iacopo d'Arezzo, allora Generale della Congregazione di Monte Oliveto, vedendo sí bello ingegno della patria sua, lo riconducesse ad Arezzo. Dove in San Bernardo, monistero di tal religione, dipinse quattro cappelle, due allato alla cappella maggiore, che la mettono in mezzo, e le altre due al tramezzo della chiesa; e fece a fresco infinite figure per la chiesa, condotte da lui con bellissima pratica e vivezza. Sopra il coro dipinse pure a fresco una Nostra Donna con due figure, che a guardarle paiono vivissime. Di maniera che, trovandosi ben servito da lui, fra' Iacopo lo condusse a Monte Oliveto, capo della sua religione, dove, alla cappella maggiore, gli fece fare una tavola a tempera in campo d'oro, con infinito numero di figure piccole e grandi; nella quale di rilievo ne l'ornamento di legname, son fatti di gesso di mezzo rilievo e messi d'oro tre nomi: Simon Cini fiorentino, che fece lo intaglio e legname; Gabriel Saracini, che la mise d'oro; e Spinello di Luca aretino, che la dipinse. La quale opra finita, il che fu l'anno mccclxxxv, con carezze da' monaci usategli, se ne tornò in Arezzo, e per lo nome che aveva acquistato, fece nella pieve la cappella di San Bartolomeo e sotto l'organo similmente quella di San Matteo, nelle quali figurò storie dell'uno e dell'altro apostolo. Non poco lontano a questo, fuor d'Arezzo, dipinse al Duomo vecchio fuor della città la cappella e la chiesa di Santo Stefano, nella quale i colori suoi, per essere lavorati risolutamente et a buon fresco, sono ancora vivissimi et accesi che paiono dipinti al | presente. Et in detta chiesa fece di pittura una Nostra Donna, la quale oggi è tenuta da gli Aretini in divozione et in gran riverenza, nascendo questo da avere Spinello sempre dato alle figure che dipinse mansuetudine, modestia e grazia e massimamente nelle teste; come dimostrò ancora al Canto delle Beccherie in quella città in una altra Nostra Donna fatta da lui in fresco, e similmente in quella di Seteria. E sul canto del canale fece la facciata dello spedale dello Spirito Santo, con una istoria, che gli Apostoli lo ricevono, e da basso storie di San Cosimo e Damiano che tagliano al moro morto una gamba sana, per appiccarla ad uno infermo a chi ne avevano tagliato una fracida. Nel mezzo fece un Noli me tangere, pittura certo bellissima e lodata. Al Canto alla Croce dipinse la facciata di San Lorentino e Pergentino, et allo spedale di San Marco, nel portico, lavorò molte figure. Fece nella compagnia de' Puraccioli una cappella dentrovi una Annunziata, e nel chiostro di Santo Agostino similmente lavorò a fresco una Nostra Donna e molte altre figure in compagnia di quella, et in chiesa la cappella di San Lorenzo e quella di Santo Antonio; et in San Domenico nella medesima città, entrando in chiesa a man sinestra, si vede la cappella di San Iacopo e Filippo, lavorata da lui a fresco con bella e risoluta pratica; e cosí in San Giustino la cappella di Santo Antonio e la chiesa di San Lorenzo, dove e' dipinse dentro le storie della Nostra Donna, e fuori una Nostra Donna bellissima a fresco. Ancora dirimpetto alle monache di Santo Spirito, oggi fuora per ristrigner la città con le mura nuove fatte dal duca Cosimo, in un portico d'uno spedaletto lavorò un Cristo morto in grembo alle Marie, nel quale certamente si vede l'ingegno di Spinello aver paragonato Giotto di disegno | e di colorito di grandissima lunga, et in qualche parte superato. Nel medesimo luogo figurò un Cristo a sedere, con significato teologico, figurando la Trinità situata dentro a un sole in una maniera che da ciascuna de le tre figure pare che i medesimi raggi risplendino. Alla compagnia della Trinità si vede un tabernacolo da lui benissimo lavorato a fresco. Et inoltre per quella città e fuori non è chiesicciuola, né spedale, né cappella, né maestà che non sia lavorata da lui a fresco. Laonde avendo acquistato Spinello bonissime facultà e credito et essendo già fatto vecchio, non sapendo starsi in riposo, prese a fare alla compagnia di Santo Agnolo in quella città storie di San Michele, le quali in su lo intonacato del muro disegnò egli di rossaccio, cosí alla grossa, come gli artefici vecchi usavano di fare il piú delle volte; et in un cantone per mostra ne lavorò e colorí interamente una storia sola, che piacque assai. Convenutosi dunque del prezzo con chi ne aveva la cura, finí tutta la facciata dello altare maggiore, nella quale figurò Lucifero porre la sedia sua in Aquilone, e vi fece la ruina de gli angeli i quali in diavoli si tramutono, piovendo inver la terra, dove si vede in aria un San Michele che combatte con lo antico serpente di sette teste e di dieci corna; e da basso nel centro un Lucifero già mutato in bestia bruttissima. E dilettossi tanto Spinello di farlo orribile e contraffatto, che e' si dice (tanto può la imaginazione) che la figura da lui dipinta gli apparve in sogno, domandandolo dove egli la avesse vista sí brutta e perché fattole tale scorno co' suoi pennelli. Egli dunche svegliatosi da 'l sonno per la paura e non potendo gridare, con tremito si scosse talmente, che la moglie destatasi lo soccorse, e fu egli nientedimanco a rischio di stringersigli il core e morire di subito. Ben|che ad ogni modo spiritaticcio e con occhi tondi, poco tempo vivendo poi, si condusse a la morte, lasciando fama di sé in quella città e due figliuoli piccoli: l'uno de i quali fu Forzore orefice, che a Fiorenza mirabilissimamente lavorò di niello, e l'altro Parri, che imitando il padre, di continuo attese alla pittura, e di disegno infinitamente lo vinse. Dolse molto a gli Aretini cosí sinistro caso, con tutto che Spinello fosse vecchio, rimanendo privati d'una virtú e d'una bontà quale era la sua. Morí d'età d'anni lxxvii, et in Santo Agostino di detta città gli fu dato sepolcro, dove ancora oggi si vede una lapida con l'arme sua, dentrovi uno spinoso. E gli fu fatto questo epitaffio: Furono le pitture sue dal mccclxxx fino a 'l mcccc. | |
|