Giorgio Vasari - Opera Omnia >>  Le vite de più eccellenti architetti, pittori et scultori




 

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P I E T R O    D E L L A    F R A N C E S C A

Pittore da 'l Borgo San Sepolcro


Molto sono infelici quelli che esercitandosi negli studii et attendendo il giorno e la notte a descrivere et a dichiarare le cose difficili delle belle arti, per lasciar fama di sé al mondo, o la infermità proibisce loro il dar fine e perfezzione alle onorate e somme fatiche, o sopravenendo la morte, la prosunzione di altrui ruba loro i lunghissimi loro sudori, et attribuendosi l'altrui pregio ricuopre la pelle dello asino con le gloriosissime spoglie del leone. Et avvegna che il tempo che è il padre della verità, o tardi o per tempo la faccia pur ritornare in luce, non è però che in quel tanto non sia defraudato quello spirito virtuoso de la debita gloria sua; sí come tante decine di anni ne è stalo defraudato Pietro della Francesca da 'l Borgo San Sepolcro. Il quale, essendo stato tenuto maestro raro e divino nelle difficultà de' corpi regolari, e nella aritmetrica e geometria, sopraggiunto nella vecchiaia dalla cecità corporale e dalla fine della vita, non possette mandare in luce le virtuose fatiche sue et i molti libri scritti da lui, che nel Borgo, sua patria, a' dí nostri ancora si conservano. E colui, che con tutte le forze sue si doveva ingegnare di mantenergli la gloria e di accrescerli nome e fama, per aver pure appreso da lui tutto quello che e' sapeva, non | come grato e fedele discepolo, ma come empio e maligno nimico, annullato il nome del precettore, usurpatosi il tutto, dette in luce sotto nome suo proprio ciò è di fra Luca da 'l Borgo tutte le fatiche di quel buon vecchio. Il quale, oltra le scienzie dette di sopra, fu eccellente nella pittura e molto onorato et amato universalmente al pari d'ogni altro della età sua.

Costui nacque nel Borgo detto, a' dí nostri fatto città, e chiamossi della Francesca, da 'l nome di sua madre, per esser quella restatane gravida quando il padre suo si morí; e per essere stato da lei allevato e nutrito con ogni sollecitudine e diligenzia, perché e' potesse venire a 'l grado che la sua buona sorte gli dava, attese Pietro nella sua giovanezza alle matematiche, et ancora che di anni xv fusse in diritto ad esser pittore, non si ritrasse già mai da quelle. Anzi, faccendo mirabil frutto et in esse e nella pittura, fu adoperato da Guidobaldo Feltro Duca vecchio d'Urbino in molti disegni. Laonde acquistatosi in quella corte credito e nome, volle farsi conoscer fuori. E però lavorando et in Pesero et in Ancona, venne la fama sua a le orecchie del duca Borso; il quale chiamatolo a Ferrara, nel suo palazzo gli fece dipignere molte camere, rovinate di poi dal Duca Ercole vecchio per edificarvi a l'uso moderno, di maniera che in quella città non è rimaso di man sua se non una cappella in Santo Agostino lavorata in fresco, e quella stessa per una soverchia umidità assai bene in declinazione. Queste opere lo fecero noto a Papa Niccola V, il quale condottolo a Roma, gli fece lavorare in palazzo due storie nelle camere di sopra, a concorrenzia di Bramantino da Milano; le quali medesimamente furono poi gittate per terra da Papa Giulio II, perché Raffaello da Urbino vi dipignesse la Prigione di San Piero et il miracolo del Cor|porale di Bolsena, insieme con alcune che aveva dipinte Bramantino da Milano, pittore molto eccellente ne' tempi suoi; del quale non potendo scrivere la vita o le opere particulari, che per la mala fortuna sua sono capitate male, mi par debito farne almanco questa memoria in testimonio della sua virtú. Straordinariamente ho sentito lodare costui in alcune teste fatte da lui nella detta istoria da 'l naturale, sí belle e sí bene condotte, che la sola parola mancava a dar loro la vita. Et ho veduto in Milano, sopra la porta della chiesa di San Sepolcro, un Cristo morto fatto da lui in iscorto; nel quale, ancora che tutta la pittura non sia piú che un braccio di altezza, egli nientedimanco nella brevità dello spazio ha voluto mostrare la lunghezza dello impossibile con la facilità e virtú dello ingegno suo. Sono ancora di sua mano in detta città, in casa il Marchesino Ostanesia, camere e logge con molte storie lavorate da lui con una pratica resolutissima e con grandissima forza ne gli scorti delle figure. Le istorie sono cose romane accompagnate con diverse poesie. E fuori di Porta Versellina, vicino al castello, a certe stalle oggi rovinate e guaste, alcuni servidori che stregghiavano cavalli, de' quali ve ne fu uno tanto vivo e tanto ben fatto, che un altro cavallo, tenendolo per vero, gli tirò molte coppie di calci.

Ma tornando a Pietro della Francesca, finito in Roma l'opera sua, se ne ritornò a 'l Borgo, per la morte della madre; e nella pieve fece a fresco dentro a la porta del mezzo due santi, che sono tenuti cosa bellissima. Nel convento de' frati di Santo Agostino dipinse la tavola dello altar maggiore, che fu cosa molto lodata, e lavorò in fresco una Nostra Donna della Misericordia ad una loro confraternita; e nel Palazzo de' Conservatori una Resurressione di Cristo, tenu|ta delle opere che sono in detta città e di tutte le sue la migliore. Dipinse a Santa Maria de Loreto, in compagnia di Domenico da Vinegia. E fu condotto in Arezzo da Luigi Bacci, cittadino aretino, e dipinse in S. Francesco la loro cappella dello altar maggiore, la volta della quale era cominciata da Lorenzo di Bicci. Nella quale sono le istorie della Croce, da che i figliuoli di Adamo, sotterrandolo, gli pongono sotto la lingua il seme dello albero, da 'l quale nasce il predetto legno; sino a la esaltazione di essa Croce, fatta da Eraclio Imperadore, che portandola su la spalla a piedi e scalzo, entra con essa in Ierusalem; dove sono molte belle considerazioni e molte attitudini degne certo di esser lodate. Come, verbigrazia, gli abiti delle donne della Regina Saba, condotti con una maniera dolce e molto nuova; molti ritratti di naturale antichissimi e vivissimi; uno ordine di colonne corinzie divinamente misurate; un villano che, appoggiato con le mani in su la vanga, sta con tanta prontezza a udire parlare Santa Lena, mentre le tre croci si disotterrano, che e' non è possibile migliorarlo. Il morto ancora, che al toccare della Croce risuscita; e la letizia di Santa Lena, con la maraviglia de' circunstanti che si inginocchiano ad adorare. Ma sopra ogn'altra considerazione e di ingegno e di arte, è lo avere dipinto la notte et uno angelo in iscorto che, venendo a capo a lo ingiú a portare il segno della vittoria a Gostantino, che dorme in un padiglione guardato da un cameriere e da alcuni armati oscurati dalle tenebre della notte, con la stessa luce sua illumina il padiglione, gli armati e tutti i dintorni, con grandissima discrezione: perché Pietro fa conoscere in questa oscurità quanto importi lo imitare le cose vere, e lo andarle togliendo da 'l proprio. Il che avendo egli fatto benissimo, ha dato cagio|ne a' moderni di seguitarlo e di venire a quel grado sommo, dove si veggono oggi le cose. In questa medesima istoria espresse egli efficacemente in una battaglia grandissima la paura, l'animosità, la destrezza, la forza, gli affetti e gli accidenti eccellentemente considerati in coloro che combattono con una strage quasi incredibile di feriti, di cascati e di morti. Ne' quali, per aver Pietro contraffatto in fresco l'armi che lustrano, merita giustamente lode grandissima. Sí come e' la merita ancora per aver fatto nella altra faccia della cappella dove è la fuga e la sommersione di Massenzio, un gruppo di cavagli in iscorto, sí maravigliosamente condotti, che respetto a que' tempi si possono chiamare troppo begli e troppo eccellenti. Fece in questa medesima istoria uno mezzo ignudo vestito a la saracina, in su un caval secco molto bene ritrovato di notomia, poco nota nella età sua. E meritò per questa opera che Luigi Bacci, da lui con Carlo et altri suoi fratelli e molti Aretini che fiorivano allora nelle lettere, quivi intorno a la decollazione d'un re tutti ritratti di naturale, largamente lo premiasse e di esser poi sempre e riverito et amato in quella città che egli aveva tanto illustrata. Dilettossi molto costui di far modelli di terra, et a quelli metter sopra de' panni molli, per ritrarli con infinità di pieghe. Fece nel Vescovado di detta città una Santa Maria Maddalena a fresco, allato a la porta della sagrestia; e nella pieve un San Bernardino in una colonna, ch'è tenuto cosa bellissima. Alla compagnia della Nunziata in detta città fece il segno da portare a processione; et a Santa Maria delle Grazie fuor della terra, in testa ad un chiostro, in una sedia tirata in prospettiva, un San Donato; et in San Bernardo, monaci di Monte Oliveto, una figura di San Vincenzo in una nicchia in alto in muro, ch'è di | grandissimo rilievo a tal cosa, che bellissima da gli artefici è stimata. Dipinse a Sargiano, luogo de' frati del Zoccolo di San Francesco fuor d'Arezzo, una cappella dove è un Cristo nello orto che ora di notte, che bellissimo si tiene.

Egli fu studiosissimo nell'arte, e nella prospettiva valse tanto, che nessuno piú di lui fu mirabile nelle cose della cognizione di Euclide, e tutti i miglior giri tirati ne' corpi regolari egli meglio ch'altro geometra intese, et i maggiori lumi che di tal cose ci sieno, ci sono di man sua; perché maestro Luca da 'l Borgo frate di San Francesco che sopra i corpi regolari della geometria scrisse, fu suo discepolo. E vedendo in vecchiezza Pietro che aveva composto di molti libri, Maestro Luca facendoli stampare, tutti gli usurpò per se stesso, come già s'è detto di sopra, sí come quello a cui erano pervenuti nelle mani dopo la morte di Maestro Pietro. Lavorò ancora in Perugia molte cose che per quella città si veggono. Fu grandissimo compagno et amico di Lazaro Vasari aretino, il quale sempre la sua maniera imitò, e bonissimo maestro fu tenuto di figure piccole.

Furono discepoli di Pietro, Lorentino d'Angelo aretino, il quale imitando quella maniera, fece in Arezzo molte pitture, e quelle che cominciate aveva Pietro a ultima fine ridusse; come ancora nel chiostro di Santa Maria delle Grazie fuor di Arezzo, vicino al San Donato che Pietro vi lavorò, son le storie di San Donato da Laurentino lavorate in fresco. Dipinse in Santo Agostino et in San Francesco in Arezzo cappelle; e per la città molt'opere similmente, e fuori per il contado fece moltissime figure per aiutare la famiglia sua che era in quei tempi molto povera. Dicesi che, sendo vicino a Carnovale, i suoi figliuoli lo pregavano che amazzasse il porco, per essere cosí costume in quel paese; e non | avendo Lorentino il modo, lo molestavano que' fanciulli dicendo: «Voi non avete danari, padre, come faremo a comperare il porco?» Lorentino rispondeva: «Qualche santo ci aiuterà». Perché lo replicò piú volte, e non comparendo il modo e passando la stagione, pur finalmente venne un contadino da la Pieve a Quarto, che aveva a sodisfare un boto, di far dipignere la imagine di San Martino, ma non aveva altro che un porco il quale valeva cinque lire. Trovò Lorentino e gli disse che aveva a far questa opra, e che altro assegnamento non aveva che 'l porco; perché convenutisi, gli fece il lavoro et egli a casa il porco ne menò, dicendo a' figliuoli che San Martino lo aveva aiutato. Fu suo discepolo un Piero da Castel della Pieve, che fece al Borgo uno arco sopra Santo Agostino, e dipinse in Arezzo nelle monache si Santa Caterina un Santo Urbano Papa, oggi ito per terra per rifar la chiesa. Similmente fu suo creato Luca Signorelli da Cortona, il quale grandissimo onore piú de gli altri gli fece. Furono le pitture di Maestro Pietro Borghese l'anno mcccclviii. Dicesi che per un male di cattarro che gli venne di età d'anni lx accecò, e fino a gli anni lxxxvi sempre orbo visse. Lasciò Pietro nel Borgo bonissime facultà e case ch'egli aveva edificate, le quali per le parti furono arse e distrutte l'anno mdxxxvi. La morte sua dolse molto a' suoi cittadini, che onoratamente lo sepelirono nella pieve, oggi vescovado di quella città; e meritò titolo da gli artefici de 'l miglior geometra che si trovasse ne' tempi suoi, per il che forse hanno le sue prospettive piú moderna maniera e disegno e grazia migliori de l'altre. Costui fu investigatore di molti modi brevi, e redusse a facilità quasi tutte le difficultà delle cose geometriche; come apertamente si può vedere per | i libri delle sue compozioni, conservati la maggior parte nella libreria del II Federigo Duca di Urbino; i quali oltra la fama della pittura hanno arrecato a Pietro nome immortale. Per il che non è poi mancato chi lo abbia onorato di questi versi:

PIETRO DELLA FRANCESCA

Geometra e pittor, penna e pennello
Cosí ben misi in opra; che natura
Condannò le mie luci a notte scura
Mossa da invidia: e de le mie fatiche
Che le carte allumar dotte et antiche,
L'empio discepol mio fatto si è bello.









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