Giorgio Vasari - Opera Omnia >>  Le vite de più eccellenti architetti, pittori et scultori




 

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IACOPO    DELLA    QUERCIA    SANESE

Scultore


Infinitamente è da credere che nella vita sua pruovi grandissima contentezza colui che per mezzo delle fatiche fatte con la virtú sua si senta, o nella patria o fuori, onorare di dignità o guiderdonare di premio fra gli altri uomini, crescendone per le lode e per gli onori in infinito la virtú sua. Ciò intervenne a Iacopo di maestro Piero di Filippo della Quercia scultor sanese, il quale, per le sue rarissime doti nella bontà, nella modestia e nel garbo, meritò degnamente di esser fatto cavaliere. Il qual titolo, onoratissimamente ritenne vivendo, onorando del continovo la patria e se medesimo. Per il che quegli, che dalla natura dotati sono di egregia et eccellente virtú, quando accompagnano con la modestia de' costumi onorati il grado nel quale si trovano, sono testimoni i quali al mondo mostrano d'essere assunti al colmo di quella dignità che si riceve da 'l merito, e non da la sorte; come veramente e degnissimamente mostrò Iacopo, il quale, alla scultura attendendo, di quella perfettissimo divenne e con eccellenzia dimostrò del continovo l'opere sue: le quali in Siena furono prima due tavole in legname di figure tonde, con grazia di disegno e d'intaglio affaticate da lui. In Lucca fece per la moglie a Paolo Guinigi signor di quella città, nella chiesa di San Martino, una sepoltura la quale alla cappella della comunità è restata, et in quel luogo alcuni fanciulli in | un fregio con festoni di marmo, e la cassa e la figura morta all'entrata della sagrestia: la quale con diligenza lavorando, a' piedi di essa fece nel medesimo sasso un cane di tondo rilievo per la fede portata al marito. Transferissi poi a Bologna dove gli fu allogato da gli operai di San Petronio, la porta principale di quel tempio di marmo a figure e storie e fogliami lavorata, nella quale ne' pilastri che reggono la cornice e l'arco, sono cinque storie per pilastro, le quali condusse di basso rilievo. E nello achitrave ne fece altre cinque, le quali furono e sono tenute cosa lodevole. E dentro a quelle intagliò da la creazione del mondo fino a Noè. E nell'arco fece tre figure di tondo rilievo, la Nostra Donna et il putto con due santi da lato: la quale opera fu da lui lavorata con grande amore e con somma diligenzia, e fu cagione di cavare d'uno errore i Bolognesi che non pensavano che si potessi far meglio che una tavola fatta da' maestri vecchi, quale è in San Francesco all'altar maggiore nella città loro, qual fu di mano di alcuni Todeschi che doppo i Gotti lavororono della maniera vecchia piú che altri che facessero in que' tempi. De' quali si vede ancora opere assai per Italia fatte da loro, come la facciata di Orvieto e la tavola di marmo del Vescovado di Arezzo, et in Pisa nel Duomo, et a Milano nel Duomo, e per la città in diversi luoghi.

Ora mentre che la fama di Iacopo si andava cosí dilatando, egli venne in Fiorenza, e sopra la porta del fianco di Santa Maria del Fiore, che va a la Nunziata, fece di marmo una Assunta, la quale con tanta grazia e con tanta bontà a fine condusse che oggi quella opera è guardata da gli artefici nostri per cosa maravigliosa; et in ogni età il medesimo sempre è stata tenuta. Veggonsi le movenzie delle sue figure con una grazia e con una bontà espresse, | e le pieghe de' panni suoi con bellissimo andare di falde, e maestrevole circondar d'ignudo a perfetta fine mirabilissimamente condotte. Figurò in tale opra Iacopo un San Tomaso che la cintola piglia, e dall'altra banda fece uno orso che monta su un pero; del significato del quale, perché variamente sentono gli uomini, dirò sicuramente io ancora una mia opinione, lasciandone tuttavolta il giudizio libero a chi sa trarne miglior costrutto. Pare a me che e' volesse intendere che il diavolo, significato per l'orso ancora che egli salga nelle cime degli alberi, ciò è a la altezza di qualsivoglia santo, perché in ciascuno truova qualche cosa del suo, non riconosce nientedimanco in questa Vergine gloriosissima né vestigio né segno alcuno, dove egli abbia punto che fare, e però ancora che inalberato, si rimane giú basso, dove ella ascende sopra le stelle. E chi di questo non si contenta, contentisi almeno de la risposta che a Luciano già fece Omero de 'l principio del suo poema, ciò è che gli venne allora a proposito, di fare cosí. Ècci opinione di molti che questa opera fusse di mano di Nanni d'Antonio di Banco fiorentino; la qual cosa non può essere, prima, perché Nanni non lavorò le cose sue in tanta perfezzione, l'altra, la maniera è da la sua differente et alle cose di Iacopo molto piú somiglia. Trovasi nella allogazione delle porte di San Giovanni, Iacopo essere stato di quelle in concorrenza fra i maestri ch'a tal lavoro furono eletti, in far saggio d'una storia et era egli stato in Fiorenza quattro anni, innanzi che tale opera s'allogasse. Dove non si vedendo altra opra di suo, se non questa, è sforzato ognuno a credere che ella sia piú condotta da Iacopo che da Nanni.

Tornatosene poi a Siena, et in quella dimorando, dalla Signoria di detta città gli fu fatta allogazione della superba | fonte di marmo fatta su la piazza publica dirimpetto al palazzo loro; la quale opra fu di prezzo di ducati duo milia e dugento; et in quella usò artificio e bontà che gli diede tanto nome che sempre fu nominato, e vivo e morto Iacopo de la Fonte Sanese. Intagliò in detta opera le virtú teologiche con dolce e delicata maniera nelle arie loro con istorie del Testamento vecchio: ciò è la creazione d'Adamo e d'Eva, il lor peccar nel pomo, dove egli fece alla femmina una aria nel viso sí bella e di tanta benigna grazia, et una attitudine della persona tanto dolce verso di Adamo nel porgergli il pomo che e' pare al tutto impossibile che e' lo possa mai recusare. Senza che tutta l'opera è piena di bellissime considerazioni, con infiniti altri ornamenti tutti dalla dilicata mano di Iacopo con amore e con grandissima pratica condotti a perfezzione. La quale opera fu cagione che dalla Signoria della città predetta fu fatto cavaliere, et in breve spazio divenne operaio publico del Duomo di Siena e sopra tutte le cose della spesa di quella fabbrica. E cosí in quello ufficio tre anni visse, con molta grazia di quella città, e fu utilissimo per quel tempio e per quella fabbrica, la quale non fu mai prima cosí ben maneggiata da alcuno, essendo egli molto gentil persona. Ora per le fatiche già fatte, stanco e vecchio divenuto, di questa vita all'altra passò, et in Siena da' suoi cittadini con amare lagrime onorato, meritò sepolcro nel Duomo, non cessando eglino con epigrammi latini e rime volgari inalzare con debite lode le bellissime opere, la vita e gli onestissimi costumi suoi, l'anno mccccxviii. Il che hanno fatto ancora gli strani, come si vede per questo epitaffio:

IACOBO QVERCIO SENENSI EQVITI CLARISSIMO STATVARIAEQVE ARTIS PERITISS[IMO] | AMANTISSIMOQVE VTPOTE QVI ILLAM PRIMVS ILLVSTRAVERIT TENEBRISQVE ANTEA IMMERSAM IN LVCEM ERVERIT AMICI PIETATIS ERGO NON SINE LACHRYMIS P[OSVERVNT].

Aggiunse Iacopo all'arte della scultura un modo molto di bella maniera, e levò gran parte di quella vecchia che avevano usata gli scultori inanzi a esso, nel fare le figure in maestà senza torcersi e svoltare le attitudini, e morbidamente s'ingegnò gli ignudi di maschi e di femmine far parere carnosi, e di leccatezza pulitamente il marmo cercò finire con diligenza infinita.








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