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D O M E N I C O    G H I R L A N D A I O

Pittore Fiorentino


Molte volte si truovano ingegni elevati e sottili che volentieri si darebbono alle arti et alle scienze et eccellentemente le eserciterebbono, se i padri loro gli indirizzassero nel principio a quelle stesse a le quali naturalmente sono inclinati; ma spesso avviene che chi gli governa non conoscendo forse piú | oltre, straccura quello di che piú doverebbe curarsi; e cosí è cagione che gli ingegni prodotti dalla natura ad ornamento et utile del mondo disutilmente rimangon persi. E quanti abbiamo noi veduti seguire una professione lungo tempo, solo per tema di chi li governa, che arrivati poi a gli anni maturi l'hanno lasciata in abbandono per un'altra che piú loro aggrada? Et è tanta la forza della natura, che lo inclinato ad una professione molto piú frutto vi fa in un mese, che con qualunche studio o fatica non farà un altro in molti anni. Et adviene bene spesso che continuando poi questi tali, per lo instinto che ve gli tira, fanno ammirare e stupire insieme l'arte e la natura; come a ragion le fece stupire Domenico di Tommaso Ghirlandaio, il quale fu posto all'arte dello orefice, e non piacendoli quella, non restò di continuo di disegnare. Perché essendo egli dotato dalla natura d'uno spirito perfetto e d'un gusto mirabile e giudicioso nella pittura, quantunque orafo nella sua fanciullezza fosse, sempre al disegno attendendo, venne sí pronto e presto e facile, che molti dicono che mentre che all'orefice dimorava, ritraendo i contadini et ogni altra persona che da bottega passava, li faceva subito somigliare. Come ne fanno fede ancora nell'opre sue infiniti ritratti, che sono di similitudini vivissime. Furono le sue prime pitture in Ogni Santi la cappella de' Vespucci, dov'è un Cristo morto et alcuni santi, e sopra uno arco una Misericordia, e nel refettorio di detto luogo un Cenacolo a fresco. Dipinse e in Santa Croce all'entrata della chiesa a man destra, la storia di San Paolino. Et acquistando fama grandissima, in credito venuto, a Francesco Sassetti lavorò in Santa Trinita una cappella con istorie di San Francesco, la quale opra è mirabilmente condotta, e da lui con grazia, con | pulitezza e con amor lavorata. In questa contrafece egli e ritrasse il ponte a Santa Trinita, col palazzo de gli Spini, fingendo nella prima faccia la storia di San Francesco quando apparisce in aria e resuscita quel fanciullo. Dove si vede in quelle donne che lo veggono resuscitare, il dolore della morte nel portarlo alla sepoltura, e la allegrezza e la maraviglia nella sua resurressione. Contrafecevi i frati che escon di chiesa co' bechini dietro alla croce per sotterrallo, fatti molto naturalmente, e cosí altre figure che si maravigliano di quello effetto, che non danno altrui poco piacere. In un'altra fece quando San Francesco, presente il vicario, rifiuta la eredità a Pietro Bernardone suo padre, e piglia l'abito di sacco cignendosi con la corda. E nella faccia del mezzo quando egli va a Roma a Papa Onorio e fa confermar la regola sua, presentando di gennaio le rose a quel pontefice. Nella quale storia finse la sala del Concistoro co' cardinali che sedevano intorno, e certe scalee che salivano in quella; accennando certe mezze figure ritratte di naturale, accomodandovi ordini di appoggiatoi per la salita. E fra quegli ritrasse il Magnifico Lorenzo Vecchio de' Medici. Dipinsevi medesimamente quando San Francesco riceve le stimite. E nella ultima fece quando egli è morto e che i frati lo piangono, dove si vede un frate che gli bacia le mani; et invero quello effetto non si può esprimer meglio nella pittura, senza che e' v'è un vescovo parato con gli occhiali al naso che gli canta la vigilia, che il non sentirlo solamente lo dimostra dipinto. Ritrasse in due quadri che mettono in mezzo la tavola, Francesco Sassetti ginocchioni in uno, e ne l'altro la sua donna. Oltra che e' fece nella volta quattro Sibille, e fuori della cappella un ornamento sopra l'arco nella faccia dinanzi, con una sto|ria dentrovi, quando la Sibilla Tiburtina fece adorar Cristo a Ottaviano Imperatore, che per opera in fresco è molto praticamente condotta e con una allegrezza di colori molto vaghi. Et insiemi acompagnò questo lavoro con una tavola pur di sua mano, lavorata a tempera; quale ha dentro una Natività di Cristo da far maravigliare molto ogni persona intelligente, dove ritrasse se medesimo e fece alcune teste di pastori, che sono tenuti cosa divina. Dipinse a' frati Giesuati una tavola per lo altar maggiore con alcuni santi in compagnia di una Nostra Donna bellissima. E nella chiesa di Cistello fece una tavola finita da David e Benedetto suoi fratelli, dentrovi la Visitazione di Nostra Donna, con alcune teste di femmine vaghissime e bellissime. Nella chiesa de gli Innocenti fece una tavola de' Magi, molto lodata e stimata, che fu a tempera. Nella quale sono teste bellissime d'aria e di fisonomia varie, cosí di giovani come di vecchi; e particularmente nella testa della Nostra Donna si conosce quella onestà, bellezza e grazia, che nella madre del vero Dio, può esser fatta da mano umana. Et in San Marco al tramezzo della chiesa, un'altra tavola, e nella forestieria un Cenacolo con diligenza l'uno e l'altro condotto; et in casa di Giovanni Tornabuoni un tondo con la storia de' Magi, fatto con diligenza. Allo spedaletto per Lorenzo Vecchio de' Medici, amato e stimato da lui, la storia di Vulcano, dove lavorano molti ignudi fabricando con le martella folgori o saetti a Giove. Et in Fiorenza nella chiesa d'Ogni Santi, a concorrenza di Sandro di Botticello, dipinse a fresco un San Girolamo, che oggi è allato alla porta che va in chiostro, intorno al quale fece una infinità di instrumenti di libri da persone studiose.

Dipinse ancora l'arco sopra la porta di Santa Maria Ughi | et un tabercolino dietro a la Arte de' Linaiuoli, similmente un San Giorgio molto bello, che ammazza il serpente. E per il vero egli intese molto bene il modo del dipignere in muro, e facilissimamente lo lavorò, essendo nientedimanco nel comporre le sue cose molto leccato. Fu chiamato a Roma da papa Sisto IIII a dipignere con altri maestri la sua cappella, e dipinsevi quando Cristo chiama a sé da le reti Pietro et Andrea, e la Resurressione di esso Iesú Cristo, della quale oggi è guasta la maggior parte per essere ella sopra la porta respetto a lo avervisi avuto a rimettere uno architrave che rovinò. Era in questi tempi medesimi in Roma, Francesco Tornabuoni onorato e ricco mercante et amicissimo di Domenico, al quale essendo morta la donna sopra parto, et avendo per onorarla come si convenia alla nobiltà loro, fattole fare una sepoltura nella Minerva, con alcune storie di marmo, piacque ancora che Domenico dipignesse tutta la faccia dove ell'era sepolta, et oltre a questo vi facesse una piccola tavoletta a tempera. Laonde in quella pariete fece quattro storie: dua di San Giovanni Batista e due della Nostra Donna; le quali veramente gli furono allora molto lodate. E provò tanta dolcezza nella pratica di Domenico, che tornandosene quello a Fiorenza con onore e con danari, lo raccomandò per lettere a Giovanni suo parente, scrivendoli quanto e' lo avesse servito bene in quella opera e quanto il papa fusse satisfatto de le sue pitture. Le quali cose udendo Giovanni, cominciò a disegnare di metterlo in qualche lavoro magnifico da onorare la memoria di se medesimo e da arrecare a Domenico fama e guadagno. Era per avventura in Santa Maria Novella, convento de' frati predicatori, la cappella maggiore dipinta già di Andrea Orgagna; la quale, | per essere stato mal coperto il tetto della volta, era in piú parte contaminata e guasta da la acqua. Per il che già molti cittadini la avevano voluta rassettare, o vero ridipignerla di nuovo; ma i padroni, che erano de la famiglia de' Ricci, non se n'erano mai contentati, non potendo essi far tanta spesa né volendosi risolvere a concederla ad altrui che la facessi, per non perdere la iuridizione del padronato et il segno dell'arme loro lasciatagli da i loro antichi. Giovanni adunque, desideroso che Domenico gli facesse questa memoria, si messe intorno a questa pratica tentando diverse vie. Et in ultimo promesse a' Ricci far tutta quella spesa egli e che gli ricompenserebbe in qualcosa; e farebbe metter l'arme loro nel piú evidente et onorato luogo che fusse in quella cappella. E cosí persuasi, diede loro un beveraggio per una certa amorevolezza, e fece fare uno instrumento rogato molto stretto de 'l senso ragionato di sopra, et allogò a Domenico questa opera, con le storie medesime che erano dipinte prima; e feciono che il prezzo fussi ducati mille dugento d'oro larghi; et in caso che l'opera gli piacesse fussino dugento piú. Per il che Domenico misse man alla opera; né restò che egli in quattro anni l'ebbe finita; il che fu nel mcccclxxxv, con grandissima satisfazzione e contento di esso Giovanni. Il quale chiamandosi servito, e confessando ingenuamente che Domenico aveva guadagnati i dugento ducati del piú, disse che arebbe piacere che e' si contentasse de 'l primo pregio; e Domenico, che molto piú stimava la gloria e l'onore che le ricchezze, gli largí subito tutto il restante, affermando che aveva molto piú caro lo avergli satisfatto de 'l lavoro che lo essere contento de 'l pagamento. Appresso Giovanni fece fare due armi grandi di pietra, l'una de' Tornaquinci, l'altra de' Tornabuoni, e | metterle ne' pilastri fuori d'essa cappella. E quando poi Domenico fece la tavola dello altare nello ornamento dorato, sotto un arco ch'è per fine di quella tavola fece mettere il tabernacolo del Sacramento, bellissimo; e nel frontispizio di quello fece un scudicciuolo d'un quarto di braccio, dentrovi l'arme de' padron detti. Et il bello fu allo scoprire della cappella: questi cercorono con gran romore de l'arme loro, e finalmente, non ve la vedendo, se n'andarono al magistrato degli Otto portando il contratto. Per il che, non Giovanni che era morto allora, ma gli eredi suoi per commissione lasciata da·llui, mostrarono esservi posta nel piú evidente et onorato luogo di quell'opera, e benché quelli esclamassino che ella non si vedeva, fu lor detto che eglino avevano il torto, e che avendogli fatti metter Giovanni di sopra a Cristo, se ne dovevano contentare. E cosí fu deciso che dovesse stare, per quel magistrato, come al presente si vede. Ma se questo paresse ad alcuno fuor delle cose della vita che si ha da scrivere, non gli dia noia: perché tutto era nel fine del tratto della mia penna e serve se non ad altro a mostrare quanto la povertà è preda delle ricchezze; e che le ricchezze acompagnate dalla prudenzia, conducono a fine e senza biasimo ciò che altri vuole.

Ma per tornare alle belle opere di Domenico, sono in questa capella, primieramente nella volta, i quattro Evangelisti, maggiori del naturale, e nella pariete della finestra storie di San Domenico e San Pietro martire e San Giovanni quando va al deserto e la Nostra Donna annunziata dall'Angelo e molti santi avvocati di Fiorenza ginocchioni sopra le finestre, e dappiè v'è ritratto di naturale ginocchioni Giovanni Tornabuoni da man ritta e la donna sua da man sinistra, che dicono esser molto naturali. Nella facciata de|stra di poi è sette storie, scompartite sei di sotto, in quadri, quanto tien la facciata; et una ultima di sopra, larga quanto son due istorie e quanto serra l'arco della volta, e nella sinistra altrettante di San Giovanni Batista. La prima della facciata destra è quando Giovacchino fu cacciato del tempio; dove si vede nel volto di lui espressa la pacienzia come in quel di coloro il dispregio e l'odio che essi Giudei avevano a quelli che senza avere figliuoli venivano a 'l tempio. E sono in questa storia, da la parte verso la finestra, quattro uomini ritratti di naturale, l'un de' quali, ciò è quello che è vecchio e raso et in cappuccio rosso, è Alesso Baldovinetti, maestro di Domenico nella pittura e nel musaico. L'altro che è in capegli e che si tiene una mano al fianco et ha un mantello rosso e sotto una vesticciuola azzurra, è Domenico stesso, maestro dell'opera, ritrattosi in uno specchio da se medesimo. Quello che ha una zazzera nera con certe labbra grosse, è Bastiano da San Gimignano suo discepolo e cognato, e l'altro che volta le spalle et ha un berrettino in capo, è Davitte Ghirlandaio pittore suo fratello; i quali tutti per chi gli ha conosciuti si dicono esser veramente vivi e naturali. Nella seconda storia è la Natività della Nostra Donna fatta con una diligenzia grande; e tra le altre cose notabili che egli vi facesse, nel casamento o prospettiva, è una finestra che dà 'l lume a quella camera, la quale inganna chi la guarda. Oltra questo, mentre Santa Anna è nel letto e certe donne la visitano, pose alcune femmine che lavano la Madonna con gran cura, e chi mette acqua, e chi fa le fascie, e chi fa un servizio e chi un altro, e mentre ognuna attende al suo, vi è una femmina che ha in collo quella puttina, e ghignando la fa ridere, con una grazia donnesca, degna veramente di un'opera | simile a questa, oltre a molti altri affetti che sono in ciascuna figura. Nella terza, che è la prima sopra, è quando la Nostra Donna saglie i gradi del tempio, dove è un casamento che si allontana assai ragionevolmente da l'occhio; oltra che v'è uno ignudo che gli fu allora lodato per non se ne usar molti, ancor che e' non vi fusse quella intera perfezzione come a quegli che si son fatti ne' tempi nostri, per non essere eglino tanto eccellenti. Accanto a questa è lo Sposalizio di Nostra Donna, dove dimostrò la collora di coloro che si sfogano nel rompere le verghe che non fiorirono come quella di Giuseppo; la quale istoria è copiosa di figure in uno accomodato casamento. Nella quinta si veggono arrivare i Magi in Bettelem con gran numero di uomini, cavalli e dromedarii et altre cose varie; storia certamente accomodata. Et accanto a questa è la sesta, la quale è la crudele impietà fatta da Erode a gli innocenti, dove si vede una baruffa bellissima di femmine e di soldati e cavalli, che le percuotono et urtano; e nel vero, di quante storie vi si vede di suo, questa è la migliore, perché ella è condotta con giudizio, con ingegno et arte grande. Conoscevisi l'impia volontà di coloro che comandati da Erode, senza riguardare le madri, uccidono que' poveri fanciullini; fra i quali si vede uno che ancora appiccato alla poppa, muore per le ferite ricevute nella gola da un soldato e sugge, per non dir beve, col petto non meno sangue che latte; cosa veramente di sua natura e per esser fatta nella maniera che ella è, da tornar viva la pietà dove ella fusse ben morta. E certo fu ventura di Erode che tal caso non vi fusse considerato. Èvvi ancora un soldato che ha tolto per forza un putto, e mentre correndo con quello se lo stringe in sul petto per amazzarlo, se li vede appiccata a' capegli la madre di quello con grandissima rabbia; e fa|cendoli fare arco della schiena, fa che si conosca in loro tre effetti bellissimi: uno è la morte del putto che si vede crepare, l'altro l'impietà del soldato che per sentirsi tirare sí stranamente, mostra l'affetto del vendicarsi di esso putto, il terzo è che la madre nel veder la morte del figliuolo, con furia e dolore e sdegno cerca che quel traditore non parta senza vendetta; cosa veramente piú da filosofo mirabile di giudizio che da pittore. Sonvi espressi molti altri affetti, che chi li guarda conoscerà senza dubbio questo maestro esser stato in quel tempo eccellente. Sopra questa, nella settima che piglia le due storie e cigne l'arco della volta, è il Transito di Nostra Donna e la sua Assunzione con infinito numero d'angeli et infinite figure e paesi et altri ornamenti, di che egli soleva abbondare, in quella sua maniera facile e pratica. Da l'altra faccia, dove sono le storie di San Giovanni, nella prima è quando Zacheria sacrificando nel tempio, l'angelo gli appare e per non credergli amutolisce. Nella quale storia, mostrando che a' sacrifizii de' tempii concorrono sempre le persone piú notabili, per farla piú onorata ritrasse un buon numero di cittadini fiorentini, che governavono allora quello stato; e particularmente tutti quelli di casa Tornabuoni, i giovani et i vecchi et altri. Oltre a questo, per mostrare che quella età fioriva in ogni sorte di virtú e massime nelle lettere, fece in cerchio quattro mezze figure, che ragionano insieme appiè della istoria, i quali erano i piú scienziati uomini che in que' tempi si trovassero in Fiorenza, e sono questi: il primo è Messer Marsilio Ficino, che ha una veste da canonico, il secondo con un mantello rosso et una becca nera al collo è Cristofano Landino, e Demetrio Greco che se li volta, et in mezzo a questi, che alza alquanto una mano è Messer Angelo Poliziano, i quali son vivissimi | e pronti. Seguita nella seconda, allato a questa, la Visitazione di Nostra Donna a Santa Elisabetta; nella quale sono molte donne che la accompagnano con portature di que' tempi, e fra loro fu ritratta la Ginevra de' Benci, allora bellissima fanciulla. Nella terza storia sopra alla prima è la Nascita di San Giovanni, nella quale è una avvertenzia bellissima: che mentre Santa Elisabetta è in letto, e che certe vicine la vengono a vedere e la balia stando a sedere allatta il bambino, una femmina con allegrezza gnene chiede, per mostrare a quelle donne la novità che in sua vechiezza aveva fatto la padrona di casa. E finalmente vi è una femmina che porta a la usanza fiorentina frutte e fiaschi da la villa, la quale è molto bella. Nella quarta allato a questa è Zacheria che ancor mutolo stupisce con lo intrepido dello animo che sia nato di lui quel putto; e mentre gli è dimandato de 'l nome, scrive in su 'l ginocchio, affisando gli occhi al figliuolo quale è tenuto in collo da una femmina con reverenzia, postasi ginocchione innanzi a lui, segna con la penna in su 'l foglio: «Giovanni sarà il suo nome», non senza ammirazione di molte altre figure, che pare che stiano in forse se egli è vero o no. Seguita la quinta, quando e' predica alle turbe; nella quale storia si conosce quella attenzione che danno i popoli nello udir cose nuove; e massime nelle teste degli scribi che ascoltano Giovanni, i quali pare che con un certo modo del viso sbeffino quella legge, anzi l'abbino in odio; dove sono ritti et a sedere maschi e femmine in diverse fogge. Nella sesta si vede San Giovanni battezare Cristo; nella reverenzia del quale mostrò interamente la fede che si debbe avere a sacramento tale. E perché questo non fu senza grandissimo frutto, vi figurò molti già ignudi e scalzi, che aspettando d'essere battezzati, mostrano la | fede e la voglia scolpita nel viso. Et infra gli altri vi è uno che si cava una scarpetta, che rappresenta la prontitudine istessa. Nella ultima, ciò è nello arco accanto alla volta, vi è la suntuosissima cena di Erode col ballo di Erodiana, con infinità di servi che fanno diversi aiuti in quella storia, oltra la grandezza di uno edifizio tirato in prospettiva, che mostra come nell'altre cose apertamente la virtú di Domenico insieme con le dette pitture. Condusse a tempera la tavola isolata tutta, e le altre figure che sono ne' sei quadri; che oltre alla Nostra Donna che siede in aria col Figliuolo in collo e gli altri santi che gli sono intorno, oltra il San Lorenzo et il Santo Stefano che sono interamente vivi, vi è il San Vincenzio et il San Pietro Martire che non li manca se non la parola. Vero è che di questa tavola ne rimase imperfetta una parte, mediante la morte sua; per il che, avendo egli già tiratola tanto innanzi, che e' non le mancava altro che il finire certe figure dalla banda di dietro dove è la Resurressione di Cristo e tre figure che sono in que' quadri, finirono poi il tutto Benedetto e Davitte Ghirlandai suoi frategli. Questa cappella fu tenuta cosa bellissima, grande, garbata e vaga, per la vivacità de' colori, per la pratica e pulitezza del maneggiargli nel muro e per il poco ritoccargli a secco, oltra la invenzione e collocazione delle cose. E certamente ne merita Domenico lode grandissima per ogni conto, e massime per la vivezza delle teste, le quali per essere ritratte di naturale rappresentano a chi verrà le vivissime effigie di molte persone segnalate. Fece ancora nel palazzo della Signoria, nella sala dove è il maraviglioso orologio di Lorenzo della Volpaia, molte figure di santi fiorentini con bellissimi adornamenti. E tanto fu amico del lavorare e di satisfare ad ognuno, che | egli aveva commesso a' garzoni che e' si accettasse qualunche lavoro che capitasse a bottega, se bene fussero cerchi da paniere di donne, perché non gli volendo fare essi, gli dipignerebbe da sé, acciò che nessuno si partisse scontento da la sua bottega. Dolevasi bene quando aveva cure familiari, e per questo dette a David suo fratello ogni peso di spendere dicendogli: «Lascia lavorare a me e tu provedi, che ora che io ho cominciato a conoscere il modo di questa arte, mi duole che non mi sia allogato a dipignere a storie il circuito di tutte le mura della città di Fiorenza», mostrando cosí animo invittissimo in ogni sua impresa e risoluto in ogni sua azzione. Lavorò a Lucca in San Martino una tavola di San Pietro e San Paulo, e dipinse a San Gimignano. In Fiorenza lavorò ancora molti tondi, quadri e pitture diverse, che non si riveggono altrimenti per essere nelle case de' particulari. In Pisa fece la nicchia del duomo allo altar maggiore, e lavorò in molti luoghi di quella città, come alla facciata dell'opera quando il re Carlo raccomanda Pisa; et in San Girolamo a' frati Giesuati una tavola. Dicono che ritraendo anticaglie di Roma: archi, terme, colonne, colisei, aguglie, amfiteatri, acquidotti, era sí giustissimo nel disegno che le faceva a occhio, senza regolo o seste e misure; e misurandole da poi fatte che le aveva, erano giustissime come se e' le avesse misurate. E ritraendo a occhio il Coliseo, vi fece una figura ritta appiè, che misurando quella tutto l'edificio si misurava; e fattone esperienza da maestri dopo la morte sua, ritornava giustissimo. Fece a Santa Maria Nuova nel cimiterio sopra una porta, un San Michele in fresco armato bellissimo, con riverberazione d'armadure poco usate inanzi a lui; et alla Badia di Passignano, luogo de' monaci di Valle | Ombrosa, lavorò in compagnia di David suo fratello e di Bastiano da San Gimignano. Dove, trattandoli i monaci male de 'l vivere, inanzi la venuta di Domenico si richiamarono all'abate, pregandolo che meglio servire li facesse, non essendo onesto che come manovali fossero trattati. Promise loro l'abate di farlo e scusossi che questo piú avveniva per ignoranza che per malizia. Venne Domenico e tuttavia si continuò nel medesimo modo. Per il che David trovando un'altra volta lo abbate, si scusò dicendo che non faceva questo per conto suo, ma per li meriti e per la virtú del suo fratello. Ma lo abate, come ignorante ch'egli era, altra risposta non fece. La sera, postisi a cena, venne il forestario de' monaci con una asse piena di scodelle e tortacce da manigoldi, pur nel solito modo che l'altre volte si faceva. David salito in colera rivoltò le minestre addosso al frate, e preso il pane che era su la tavola avventandolo al frate, lo percosse di modo che mal vivo a la cella ne fu portato. Lo abate che già era a letto, levatosi e corso al rumore, credette che 'l monistero rovinasse; e trovando il frate mal concio cominciò a contendere con David. Per il che infuriato, David gli rispose che si gli togliesse dinanzi che valeva piú la virtú di Domenico che quanti abati porci suoi pari furon mai in quel monistero. Laonde lo abate riconosciutosi, da quell'ora inanzi s'ingegnò di trattargli da valenti uomini come elli erano. Finita l'opera tornò a Fiorenza, et al Signor di Carpi dipinse una tavola, un'altra ne mandò a Rimino a 'l Signor Carlo Malatesta, che la fece porre nella sua cappella in San Domenico. Questa tavola fu a tempera, con tre figure bellissime, con istoriette di sotto; e dietro figure di bronzo, finte con disegno et arte grandissima. Una altra tavola fece nella Badia di Volterra, | e condotto poi a Siena per mezzo del Magnifico Lorenzo de' Medici che gli entrò mallevadore a questa opera di ducati ventimila, tolse a fare di musaico la facciata del duomo; e cominciò a lavorare con buono animo e miglior maniera, ma prevenuto da la morte, lasciò l'opera imperfetta. Come per la morte del predetto Magnifico Lorenzo rimase imperfetta in Fiorenza la cappella di San Zanobi cominciata a lavorare di musaico da Domenico in compagnia di Gherardo miniatore. Vedesi di mano di Domenico sopra quella porta del fianco di Santa Maria del Fiore, che va a' Servi, una Nunziata di musaico bellissima, della quale fra' maestri moderni di musaico non s'è veduto ancor meglio. Usava dire Domenico la pittura essere il disegno e la vera pittura per la eternità essere il musaico. Stette seco in compagnia a imparare Bastiano Mainardi da San Gimignano, il quale in fresco era divenuto molto pratico maestro di quella maniera; per il che andando con Domenico a S. Gimignano, dipinsero a compagnia la cappella di Santa Fina, la quale è cosa bellissima. Onde per la servitú e gentilezza di Bastiano, sendosi cosí bene portato, giudicò Domenico che e' fosse degno d'avere una sua sorella per moglie, e cosí l'amicizia loro fu cambiata in parentado; liberalità di amorevole maestro rimuneratore delle virtú del discepolo acquistate con le fatiche della arte. Avvenne poi che Domenico ammalò di gravissima febbre, la pestilenza della quale in cinque giorni gli tolse la vita. Essendo infermo, gli mandò Giovanni Tornabuoni a donare cento ducati d'oro, mostrando l'amicizia e la familiarità sua e la servitú che Domenico a Giovanni avea sempre portata. Visse Domenico anni xliiii e fu con molte lagrime e con pietosi sospiri da David e da Benedetto suoi fratelli e da Ri|dolfo suo figliuolo con belle esequie sepellito in Santa Maria Novella, e fu tal perdita di molto dolore agli amici suoi; perché intesa la morte di lui, molti eccellenti pittori forestieri scrissero a' suoi parenti dolendosi della sua acerbissima morte. Restarono suoi discepoli David e Benedetto Ghirlandai, Bastiano Mainardi da San Gimignano e Michele Agnolo Buonarotti fiorentino, Francesco Granaccio, Niccolò Cieco, Iacopo del Tedesco, Iacopo dell'Indaco, Baldino Baldinelli et altri maestri, tutti fiorentini. Morí nel mccccxciii.

Et è stato poi onorato con questi versi:

DOMENICO GHIRLANDAIO.

TROPPO PRESTO LA MORTE
TRONCÒ IL VOLO ALLA FAMA; CHE A LE STELLE
PENSAI CORRENDO FORTE
PASSAR ZEVSI E PARRASIO E SCOPA E APELLE.

Arricchí Domenico l'arte della pittura del musaico piú modernamente lavorato che non fece nessun toscano, d'infiniti che si provorono, come lo mostrano le cose fatte da lui per poche ch'elle si siano. Onde per tal ricchezza e memoria, nell'arte merita grado et onore et essere celebrato con lode straordinarie dopo la morte. |








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